Per la prima volta i ricercatori hanno documentato sperimentalmente un fenomeno, finora soltanto teorico, detto intrappolamento ionico. Con questo effetto, le cellule nervose, fatte crescere nella rete di grafene, sono risultate più attive e sono riuscite a comunicare meglio fra loro. Lo studio è stato svolto all’interno del progetto europeo Graphene Flagship ed i risultati sono pubblicati su Nature Nanotechnology.
Dalla combinazione di approcci teorici e sperimentali, i ricercatori hanno dimostrato che il grafene riesce ad intrappolare sulla sua superficie alcuni ioni, ovvero atomi o molecole che hanno perso o acquisito uno o più elettroni, e a tenerli nella sua trama. Questo intrappolamento ionico avviene all’interfaccia fra neuroni e grafene. “È come se il grafene fosse una sottilissima calamita”, sottolinea Denis Scaini, ricercatore della Sissa che ha guidato la ricerca insieme a Laura Ballerini, “sulla cui superficie rimangono intrappolati parte degli ioni potassio presenti nella soluzione extracellulare frapposta tra le cellule e il grafene”.
L’abilità del grafene di trattenere questi ioni (che sono atomi o molecole cariche elettricamente) potrebbe essere alla base del potenziamento dell’attività neuronale, favorendo la comunicazione fra i neuroni. Il potenziamento dei neuroni, però, si realizza solo quando il grafene viene posto a contatto con un materiale isolante, come il vetro, oppure quando viene sospeso in soluzione, mentre svanisce quando è a contatto con un conduttore, come rame o ferro. Così la scelta dei materiali e delle tecnologie con cui combinare i materiali diventa essenziale per rendere massime le interazioni fra grafene e ioni e dunque per aumentare l’attività neuronale. “Capire come varia il comportamento del grafene a seconda del substrato su cui si adagia è fondamentale per le sue applicazioni future, soprattutto in ambito neurologico”, conclude Scaini. Un esempio potrebbe riguardare innovativi elettrodi di stimolazione cerebrale o dispositivi visivi.
